Milioni di persone in Europa stanno lavorando in smart working. Secondo uno studio di Harvard, si lavora molto di più da casa che in sede
A causa della pandemia che ha colpito tutto il mondo, da ormai un anno lo smart working ha preso il sopravvento. Per i pochi che non dovessero conoscere ancora questo termine, si tratta, in sostanza, di portare virtualmente l’ufficio a casa e continuare regolarmente a lavorare. In questo modo tantissime aziende non hanno dovuto chiudere durante questo periodo molto delicato.
Questo modo di lavorare, ovviamente, ha dei pro e dei contro, che proveremo ad analizzare in questo articolo. L’agenzia europea Eurofound ha commissionato un sondaggio nel mese di luglio. Il 48% degli intervistati ha dichiarato di lavorare da casa, sia a tempo pieno che ridotto. Una percentuale altissima.
In Belgio, Lussemburgo, Francia, Spagna, Danimarca, Portogallo, Irlanda, Cipro e Italia, più della metà della forza lavoro ha dichiarato di lavorare in smart working. Tutto ciò permetterà di velocizzare il processo di digitalizzazione del mondo del lavoro, inevitabile ormai per aumentare la qualità dei servizi offerti ai clienti.
Negli ultimi mesi sono stati fatti diversi studi su questa modalità di lavoro, per cercare di comprendere quali fossero gli aspetti positivi e negativi. È anche un modo per provare a migliorare questa tipologia di lavoro. Anche la celebre università di Harvard ha fatto studi sullo smart working. Vediamo nel dettaglio i pro e i contro dello smart working e come cambierà il mondo del lavoro nei prossimi anni.
Nell’ultimo anno molte persone hanno continuato regolarmente a lavorare da casa in modalità smart working. Si tratta di un nuovo modo di concepire il mondo del lavoro che divide molto l’opinione pubblica. C’è chi è a favore e chi è contro. Cerchiamo di capire quali siano i principali punti di forza o punti deboli dello smart working.
Il principale vantaggio dello smart working è la maggiore flessibilità che il lavoratore può ottenere. Non deve fare il pendolare e per questo può svegliarsi più tardi la mattina, dedicando più tempo alla famiglia. La possibilità di fare piccole pause all’interno del contesto familiare aiuta molto, soprattutto quelli che sono abituati a stare tutta la giornata fuori per lavoro.
Ma esistono anche diversi svantaggi. Lo smart working ha fuso lavoro e vita privata, facendoli diventare una sola cosa. Psicologicamente tutti riescono ad accettare questo fattore. I lavoratori hanno dovuto abituarsi ad usare strumenti sconosciuti, come le piattaforme online che permettono di fare riunioni con i colleghi.
Il fatto di lavorare da casa ha spinto molte aziende ad aumentare la mole di lavoro. Lo dimostra anche uno studio dell’Università di Harvard, che vedremo tra poco.
L’Università di Harvard ha portato avanti uno studio su coloro che effettuano la propria prestazione lavorativa da casa. Gli esperti hanno analizzato mail e riunioni di 3,1 milioni di persone residenti in 16 città diverse. Si tratta di persone che abitano nel Regno Unito, in Austria, Canada e Stati Uniti. I risultati sono stati sorprendenti.
Il personale lavora da remoto circa 48,5 minuti in più al giorno rispetto a chi si reca in ufficio. E non solo, c’è chi resta davanti al computer fino a due ore in più al giorno rispetto a quando lavorava in sede. Questi dati fanno intendere che lavorare da casa probabilmente è più faticoso che lavorare in ufficio.
I lavoratori a distanza hanno il doppio delle probabilità di superare le 48 ore di servizio settimanale rispetto a chi sta in ufficio. E in molti casi, chi lavora in smart working utilizza anche il tempo libero per lavorare, cosa che accade soltanto al 5% di chi effettua la propria lavorazione in sede.
Una direttiva del 2003 dell’Unione Europea stabilisce i periodi minimi di riposo giornaliero e settimanale di tutti i lavoratori europei. L’equilibrio tra vita professionale e vita privata, sulla carta, è uno dei venti principi dei diritti sociali sui quali si fonda l’UE. Ma non esiste alcun diritto per chi lavora in modalità digitale.
Coloro che lavorano da remoto, infatti, sono spesso soggetti ad avere a che fare con i problemi lavorativi anche fuori dal proprio turno. Pare che le cose stiano per cambiare. Il Parlamento Europeo ha sostenuto con forza una proposta di legge proveniente da una delle commissioni. Questa proposta permetterebbe a chi lavora in digitale di non doversi connettere al di fuori dell’orario lavorativo.
A tal proposito, la professoressa Anna Cox, esperta in informatica ed equilibrio tra vita privata e lavoro presso l’University College di Londra, ha rilasciato alcune dichiarazioni al Guardian. La professoressa ha sottolineato il senso di inadeguatezza che provano alcuni lavoratori quando sono soggetti a strumenti di monitoraggio aziendali.
“Questi lavoratori hanno la sensazione di dover essere sempre a disposizione”, ha dichiarato la professoressa Cox, “L’impatto è molto forte soprattutto sui lavoratori dipendenti o quelli che non sono manager di alto rango”. Fortunatamente questi strumenti sono ancora poco diffusi in Italia ma resta il problema della reperibilità.
Tanti lavoratori denunciano di aver ricevuto mail o messaggi in chat fuori dall’orario lavorativo. È una prassi vietata da qualsiasi contratto nazionale di lavoro. Purtroppo è un’usanza che viene usata sempre di più, soprattutto da quando è arrivata la pandemia e molte persone lavorano da casa. In questo modo il monitoraggio del lavoratore è totale ma aumentano anche gli abusi. L’Unione Europea dovrebbe intervenire al più presto.
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